Da sempre chi si occupa di tecnologia è più o meno implicitamente convinto del detto “If you build it, they will come!“, ovvero il successo di un prodotto è direttamente proporzionale alla bontà del codice con cui è stato scritto e all’hype in cui esso si inserisce. Di conseguenza, prosegue il ragionamento, essendo noi degli ottimi informatici, basta metterlo a disposizione perchè il pubblico lo adotti in massa.
Se vi fermate un momento a riflettere sullo stesso meccanismo con cui molti software vengono costruiti (qualcuno all’interno del software vendor li pensa in base alla propria sensibilità, visione e presunta esperienza..) e poi venduti (con la certezza che il prodotto possa in buona misura andare bene, così com’è, per tutto il mercato), questo è particolarmente evidente. Se disgraziamente il prodotto non va bene per le tue esigenze.. bene, cambiale!
Questo approccio tecno-centrico in fondo non ha mai funzionato neanche nel mondo enterprise tradizionale (ed è per questo che qualche anno fa sono diventato un convinto fautore della progettazione utente-centrica..), ma in passato era almeno possibile frustare i dipendenti, costringerli a seguire centinaia di slide o di ore di formazione e poi pretendere che usassero con gioia il sistema, a volte mediocre, che l’IT aveva scelto per loro.
Nell’era del web 2.0, nell’arena del social software potete scordarvi tutto questo. Gli utenti, siano essi clienti o dipendenti, sanno confrontare il vostro sistema mediocre con l’intera offerta del web e specialmente possono scegliere. Possono scegliere se partecipare oppure no, se utilizzare il servizio che l’IT propone oppure no. L’alternativa è grauita, a portata di click e spesso pericolosamente fuori dalla portata dall’azienda.
Questo cambia tutto! Innovazione e richiesta vengono dal basso (invece che dall’alto) e dalla periferia (invece che dal centro). Gli ingredienti del successo sono sempre più flessibilità, emergenza, reattività.
Qualche tempo fa, alle prese con la coltivazione (non creazione…) di alcune community, il capo di allora mi chiese “Abbiamo messo in piedi decine e decine di siti in pochissimo tempo, perchè con questi due siamo così lenti?”. Questa domanda racchiude a mio avviso tutta l’incapacità di buona parte del management tradizionale di percepire quanto profondamente e velocemente il web stia cambiando e con esso le competenze necessarie a parlare con il mercato ed a coinvolgere il pubblico in un dialogo capace di produrre un salto quantico nell’anima dell’azienda.
No, l’Enterprise 2.0 (ed il web 2.0) non si fanno da sole, perchè le persone con i propri desideri, bisogni, problemi, interessi, comportamenti sono intrisencamente diverse dai bit.
Come testimoniato tramite decine di case studies nel bellissimo Groundswell di Charlene Li e Josh Bernoff, l’Enterprise 2.0 è un oggetto intrinsecamente diverso, che va affrontato seguendo un processo di pianificazione e coltivazione (POST) partendo dai bisogni delle persone ed in cui la tecnologia è conseguenza, non punto di partenza.
Scegliere correttamente la direzione non garantisce però il successo, servono le figure giuste per proseguire il cammino! In particolare qualcuno che si occupi di parlare con il management, ottenere il committment e guidare la strategia (Social Computing Strategy) ed un esperto che lavori a contatto con la community, la nutra, segua e faccia crescere (Community Manager). Questi ruoli non vanno improvvisati e non possono essere part-time..
Raccogliere i frutti e cambiare da un punto di vista strategico la vostra azienda costituiscono un passo unico che non può più essere evitato a rischio di buttare via soldi, tempo e generare un dannoso effetto boomerang.
Queste raccomandazioni sono ormai uscite dalla teoria per diventare forti segnali dal mercato, come mostra lo studio “2008 Tribalization of Business: How to Achieve Trasformational Change through Communities and Social Networks“, tema del prossimo post.