Enterprise 2.0 sotto i Riflettori nelle Aziende Italiane

Se c’è un segnale netto, evidente e fortemente positivo per il sistema Italia che porto a casa dalla presentazione conclusiva dell’Osservatorio Enterprise 2.0 del MIP Politecnico di Milano è che l’Enterprise 2.0 è qui, ora e le aziende lo sanno.

Una sala piena e più di 1000 iscritti al convegno, una community online (Enterprise20.it) animata da 176 partecipanti e capace di superare in pochissimi mesi i 160 contributi ed i 1100 visitatori unici su un target fortemente aziendale, sono già cifre che devono far riflettere coloro che sostengono la visione secondo cui in Italia non ci sia e non ci sarà mai alcuna attenzione verso il web 2.0 o l’ enterprise 2.0, sua incarnazione dentro l’azienda. Questo blog mostra da tempo una prospettiva diversa che trova ormai una chiara realizzazione anche in Italia.

Partiamo quindi subito da un summary dei dati salienti della ricerca avvenuta nel 2007-2008 su 70 aziende e pubbliche amministrazioni tra le più significative nel nostro paese, 65 CIO ed i modelli di offerta di tutti i maggiori vendor che propongono soluzioni vicine all’Enterprise 2.0.

Cos’è in Italia l’Enterprise 2.0?

Come sottolinea immediatamente Mariano Corso, l’Enterprise 2.0 è un fenomeno social driven, un cambiamento profondo nella relazione tra le persone che compongono l’organizzazione e tra queste persone e gli strumenti che quotidianamente usano nel proprio lavoro. L’Enterprise 2.0 va allora letta come “una rottura dei modelli organizzativi tradizionali verso un’apertura dei confini in termini di attori esterni (clienti, fornitori, partner), il ripensamento degli schemi di collaborazione e relazione funzionali e gerarchici, la messa in discussione di stereotipi rigidi relativi allo spazio e all’orario di lavoro“. L’opportunità a cui le imprese sono di fronte è quella di ottenere un’organizzazione più flessibile e dinamica, in grado di aprirsi e cavalcare la velocità e le sollecitazioni provenienti dall’esterno (compreso il mondo consumer) e di elicitare, distribuire e capitalizzare il patrimonio di conoscenza e relazioni interne che rappresentano ormai il vero valore competitivo delle aziende.

In quale punto di questo cammino siamo arrivati in Italia?

  • Il 34% delle imprese (piccole e grandi) mostra un forte interesse verso l’applicazione dell’Enterprise 2.0 ed il 14% sta già lavorando ad implementazioni e progetti pilota.
  • Il 58% dei CIO intervistati reputa l’Enterprise 2.0 un trend capace di far evolvere il modello organizzativo, mentre l’11% parla di una rivoluzione nel modo di fare azienda. Un 18% rimane in attesa, mentre il restante 11% vede il web 2.0 ancora completamente lontano dall’azienda
  • Il dato riferito al vertice aziendale (CEO) è certamente meno incoraggiante, ma il 14% spinge in prima persona l’introduzione di iniziative Enterprise 2.0, con 22% disinteressato, un 52% poco informato sugli impatti di business ed un 12% che almeno conosce le tematiche in esame.
  • Le maggiori barriere all’introduzione? Scarsa comprensione delle potenzialità (51%), difficoltà ad identificare e valutare i benefici economici (48%), la necessità di cambiamenti organizzativi (37%).

Bisogni emergenti e percorsi verso l’Enterprise 2.0

Se l’Enterprise 2.0 scaturisce innanzitutto da bisogni personali dei dipendenti, quali sono queste esigenze scatenanti e come si stanno muovendo le aziende intervistate per coprirle? Il report cita:

  • L’appartenenza aperta (13%): porosità e apertura dei confini aziendali per un efficace coinvolgimento di attori esterni come fornitori, consulenti, partner e clienti
  • Social networking (21%): supporto alla crescita e coltivazione di relazioni basate sullo scambio di informazioni e la pubblicazione di profili personali evoluti
  • Condivisione di conoscenza (30%): elicitazione, coltivazione, diffusione e capitalizzazione della conoscenza tacita, implicita ed esplicita
  • Collaborazione emergente (30%): abilitazione di scenari di collaborazione sincrona ed asincrona in modo flessibile ed a prescindere delle strutture organizzative formali e gerarchiche
  • Riconfigurabilità adattiva (20%): supporto al cambiamento reattivo ed efficiente dei processi di business in seguito alla mutazione della strategia organizzativa
  • Global mobility (25%): accesso agli strumenti e le informazioni dell’Enterprise 2.0 anche in modalità mobile

Analizzando il posizionamento degli intervistati su queste 6 dimensioni, si evidenziano tre percorsi di avvicinamento all’Enterprise 2.0:

  • Social Enterprise (24%): utilizzo di nuovi schemi di collaborazione e condivisione della conoscenza e gestione delle relazioni superando i limiti spazio-temporali e le barriere gerarchiche per massimizzare efficacia e flessibilità strategica/organizzativa.
  • Open Enterprise (14%): apertura dei Sistemi Informativi verso entità esterne in modo da fornire selettivamente ad ognuno servizi ed informazioni specifiche, creando nuove modalità di interazione con clienti, fornitori e partner che spesso si traducono in innovazioni di processo, prodotto e servizio. Particolare enfasi nel dare una risposta flessibile, veloce e robusta alle esigenze di dispersione sul territorio e mobilità delle risorse.
  • Adaptive Enterprise (14%): creazione di un ambiente capace di supportare i processi aziendali in modo sempre più flessibile tramite un’orchestrazione ed integrazione agile dei flussi informativi, in modo da garantire un costante allineamento delle mutevoli esigenze dell’azienda e dei singoli individui.

Benchè, a mio avviso, sia innanzitutto il modello Social Enterprise (che coincidenza ;>) ad incarnare in senso stretto le idee alla base dell’Enterprise 2.0, tutti questi approcci spingono verso un crescente cambiamento organizzativo, uno significativo obiettivo di lungo termine a cui puntare nel portare i social media all’interno dell’azienda. Data la difficoltà nel raggiungere un simile risultato, ben il 48% delle realtà intervistate mostra una scarsa o nulla preparazione su tutte le 6 dimensioni illustrate.

Qual’è la risposta tecnologica necessaria all’Enterprise 2.0?

Secondo l’Osservatorio Enterprise 2.0, la risposta tecnologica deve essere duplica: da una parte le soluzioni tipicamente di social computing (wiki, blog, social network, social tagging, feed rss, podcasting, videosharing, instant messaging, etc) e dall’altra l’evoluzione dei sistemi informativi tradizionali con attenzione alle SOA (Service Oriented Architectures) ed il BPM (Business Process Management) che trovano nuova linfa grazie ai Mashups e l’erogazione dei servizi in modalità SaaS.

Se per il social computing si dovrebbe arrivare a livelli di adozione pari ad almeno il 50% nel 2008 prevalentemente tramite sperimentazioni ed il coinvolgimento di pure players (tool specialistici best of the breed nel proprio ambito verticale come Socialtext, Confluence, NewsGator, etc), nel mondo SOA (70% dei casi) e BPM (14%) il percorso è stato avviato già da qualche anno.

Come pensano i CIO di mettere insieme questi due binari a prima vista paralleli? Il 58% di loro è cosciente della necessità di allineare le due dimensioni sul medio termine tramite un approccio coerente ed integrato, contro un 5% che intende ancora procedere in modo indipendente sui due fronti. Insomma, una realizzazione previdente dell’Enterprise 2.0 dovrebbe richiedere la progettazione di un’architettura complessiva che connetta e faccia crescere insieme sistemi informativi tradizionali, processi di business e funzionalità collaborative tipiche del web 2.0. Questo è anche lo scenario a cui si stanno preparando vendor come SAP, BEA, IBM e Microsoft.

Come governare l’Enterprise 2.0?

Come mantenere il controllo ed al contempo coltivare un fenomeno emergente, che nasce dal web e che mette in crisi i paradigmi manageriali classici toccando una infinità quantità di variabili che vanno ben oltre la semplice tecnologia?
Il tema della governance è certamente sentito dai pionieri dell’Enterprise 2.0 italiani, consci che anche questa debba essere in qualche modo emergente, aperta, flessibile e collaborativa.

I due estremi sono il CIO prudente (54%), che si muove per piccoli passi e con la massima attenzione alle ricadute sull’azienda, ed il CIO animatore (16%) fautore attivo di opportunità di innovazione che coinvolgono direttamente le line. Se il primo rischia di essere velocemente sorpassato dai propri utenti (specialmente i digital natives che già utilizzano tool web 2.0 nel tempo libero), il secondo può finire per perdere il controllo e la capacità di coordinare le diverse iniziative. Anche la via intermedia del CIO urbanista (12%), che cerca di predeterminare un piano regolatore per le infrastrutture e la governance del social computing, potrebbe non essere abbastanza reattivo. L’unico approccio realistico sembra dunque essere quello del CIO equilibrista (18%) che percorre la via emergente ed infrastrutturale congiuntamente e con la massima velocità e responsabilità possibile.

Questa figura è completa?

A mio avviso no. Il lavoro fatto dall’osservatorio è notevole, come ho avuto modo di riconoscere personalmente a Mariano e Stefano. Credo però che le immagini siano state scattate un pò troppo da un’unica prospettiva, quella del CIO e della tecnologia. Come ho avuto modo di segnalare durante la conferenza e nella community, l’Enterprise 2.0 è solo in parte una questione di tecnologia ed il protagonista di questa rivoluzione non può essere semplicemente il CIO.

Identificare, lanciare e coltivare community aziendali, allineare la loro evoluzione agli obiettivi di business, riportare il frutto dell’informal nel formal, passare da una modalità push ad una pull e garantire un impatto profondo sui modelli organizzativati (change management) delle aziende, è qualcosa che deve essere pianificato con tutti gli attori coinvolti, dai dipendenti, alle line, alle direzioni, al CEO tramite un processo, in cui la tecnologia è solo una delle fasi.

Alcuni dei principi base del web 2.0 (perpetual beta, user experience, web come piattaforma, emergenza) ci indicano come la stessa creazione di una soluzione debba tenere conto del contesto ed essere ritagliata e coprogettata in modo iterativo con coloro che si troveranno ad utilizzarla, corretta tramite test di usabilità ed allineata con l’evoluzione della stessa community. Questi requisiti stridono con le soluzioni pacchettizzate in un’ottica enterprise tradizionale dei big vendors.

Credo che questo si sia visto anche sul palco in particolare nel confronto tra Yooplus e vendor più blasonati come Microsoft e SAP. Quando il successo di un’iniziativa è quasi completamente legato ad una partecipazione spontanea degli utenti (a differenza di quanto avviene in tutti i software finora presenti in azienda), saper ascoltare e coinvolgere questi utenti è molto più importante del sapersi integrare ad Office. Questo è anche il motivo per cui i pure players ancora mantengono un vantaggio rispetto ai big guys.

Per proiettare la propria azienda verso la capacità di cocreare, aprirsi al mercato, diventare trasparente e piatta, capace di dare una risposta concreta in tempi brevi ai suoi clienti, serve un rovesciamento di visuale possibile solamente invitando alla festa anche la direzione risorse umane, la forza vendita, la comunicazione interna, etc.

L’Enterprise 2.0 è ormai un’opportunità alla portata del sistema Italia. Inquadrarla nel modo più corretto è il primo passo per non sprecarla.

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