Dividendo il mio tempo tra clienti e sviluppo di nuove metodologie con colleghi ed altri consulenti, negli ultimi mesi sono rimasto più volte colpito da come coloro che si occupano di Social Media Marketing sembrino provenire completamente da un modo diverso dagli uomini dell’Enterprise 2.0. Se di fondo tutti ci occupiamo di approcci partecipati, coltivazione, conversazioni con gli abitanti della rete, coinvolgimento, misurazione, ascolto, il linguaggio, gli strumenti, le sensibilità sembrano davvero essere distanti anni luce.
Come in una torre di Babele in cui non si riesce a capire chi fa cosa, questa distinzione non è purtroppo cosmetica dato che espone le aziende a grandissimi rischi di immagine, inefficacia delle iniziative collaborative, frammentazione dell’esperienza fornita al cliente, scollamento culturale tra interno ed esterno, disallineamento dei processi organizzativi dal lavoro fatto nelle community. La conversazione è divenuta ancora più interessante con l’esplosione del Social CRM, di fatto una modalità per rendere sociale alcuni dei principali processi che includono il cliente, verso un approccio umano-centrico dell’impresa.
Nella presentazione allo SMAU di ieri tenuta insieme a Stefano Mizzella, abbiamo per questo deciso di partire dai due mondi distinti, condividendo alcune nostre esperienze e suggerimenti su Enterprise 2.0 e Social Media Marketing, per arrivare a sostenere come l’approccio ad oggi prevalente sul mercato (in particolare italiano) sia sostanzialmente miope in una fase in cui invece per utilizzare efficacemente i social media è necessario capire come la loro natura non sia tanto quella di canali di comunicazione, ma molto di più di piattaforme di ingaggio della propria comunità facendo leva su passione e sulla creatività:
Come abbiamo provato a spiegare nell’ultima parte della presentazione, a nostro avviso si sente davvero l’esigenza di andare oltre l’hype e ripartire dagli obiettivi di business del cliente, inquadrando il problema nella sua interezza, secondo un approccio sistemico in cui l’unica meta che vale la pena rincorrere sul medio/lungo termine è l’evoluzione della cultura aziendale secondo uno schema che ruoti e risponda davvero alle esigenze del cliente.
Continuando a pensare ancora al marketing come ad un isolotto distinto da customer care, vendite, innovazione, organizzazione interna si corre il rischio di:
- Credere che l’opportunità insita nell’Enterprise 2.0 sia quella di comunicare invece che quella di coinvolgere i propri dipendenti, clienti, partner nel fare qualcosa di grande insieme. Il marketing comunica, Enterprise 2.0 e Social Business creano una interazione basata sulla passione in cui azienda e cliente ottengono reciproco vantaggio
- Non riuscire a (o non volere) rendere partecipi i propri dipendenti delle iniziative sui social media. Purtroppo per generare passione bisogna metterci la faccia, essere onesti, trasparenti, far vedere anche il dietro le quinte e mettersi allo stesso livello dei propri interlocutori. Se lasciate i dipendenti a casa, non state facendo sul serio
- Non essere in grado di dare risposte veloci, efficaci ed utili nel momento in cui gli utenti iniziano a voler veramente coltivare la relazione. Questo continuerà a succedere sempre (guarda il caso Nestle) finchè non si capirà che una community è un patto che fai con gli utenti e il dentro deve essere pronto ancora prima del (o almeno insieme al) fuori. Se all’interno non avete preparato i flussi necessari a gestire fluidamente l’interazione, il vostro contratto con l’utente è già impossibile da rispettare. Contratto non mantenuto, credibilità svanita.
- Introdurre la migliore tecnologia sociale del mondo senza poterla minimamente sfruttare, perchè le vostre persone non capiscono cosa ne trarranno o perché dovrebbero sbattersi per interagire con il cliente
- Non essere in grado di gestire il rischio derivante dall’esporsi in un modo totalmente inedito in rete. Partire dall’interno significa educare, diffondere gradualmente cultura e sensibilità tramite pilot limitati nei budget e nel rischio. Al termine di questa fase sarà molto più semplice attivare l’intera azienda senza protezione, ma evitando pericolose crisi di PR
- Non capire che il marketing è trasparente e sociale. Per influenzare le decisioni di acquisto di un social customer non basta urlare, bisogna essere in gamba, garantendo un’ottima esperienza di customer care, fornendo un contributo utile alla conversazione negli spazi in cui il pubblico già è presente, aprendo le porte dell’innovazione non solo per migliorare il prodotto, ma anche per coinvolgere e fidelizzare
- Essere incapaci di captare e sfruttare l’enorme carico di innovazione disponibile gratuitamente in rete perché non si sa ascoltare o perché si crede ancora di essere più bravi di quelli che sono fuori dalla porta.
Se siete d’accordo con me sul passaggio profondo che il marketing sta vivendo in questo momento e volete ragionare su come affrontare il problema in modo olistico, coordinato e specialmente centrato sul cliente, vi rimando al post sul continuum dell’esperienza tra Social CRM ed Enterprise 2.0 ed alla tabella di evoluzione in chiave sociale dei processi che avevo pubblicato tempo fa.
All’interno dell’International Forum on Enterprise 2.0 di quest’anno, parteciperò ad un panel sullo stesso tema insieme a Esteban Kolsky e Mark Tamis, due dei maggiori esperti mondiali di Social CRM.