Se c’è un’aspetto che rende davvero stimolante l’attuale conversazione relativa al Social CRM è la sua natura intrinsecamente irrispettosa di dipartimenti, funzioni aziendali, confini fuori-dentro, processi separati.
Anche solo immaginare un’organizzazione che sia in grado di generare valore di business ponendo strategicamente ed operativamente il cliente al centro, sembra richiedere modalità di funzionamento più fluide, più trasparenti, più integrate, più coordinate di tutte le parti che la compongono. Come se si passasse improvvisamente da un gruppo di solisti in stanze separate, ad un’intera orchestra che deve suonare con equilibrio, ma intorno alle note di un nuovo musicista che nessuno conosce.
Perchè tanto disturbo? Per trasformare le sfide poste dal social customer in un’occasione di maggiore produttività, reattività, fiducia, qualità dei prodotti, abbattimento dei costi, riconoscimento del proprio brand. Il punto è come farlo senza dimenticare tutto quanto abbiamo messo in piedi negli ultimi dieci anni?
Un ottimo punto di partenza è stato proposto in rete generosamente da Jacob Morgan:
Vi invito a leggere le riflessioni da cui questo modello è nato direttamente sul blog di Jacob, ma il messaggio basilare che il diagramma trasmette è quello di una integrazione tra online ed offline in cui tutte le transazioni (sociali o tradizionali) vengono mappate all’interno del CRM ed in cui l’azienda predispone un team multidisciplinare di risposta al cliente. Si tratta di un ottimo spunto e molto validi sono anche i commenti (critiche comprese) mosse verso il modello.
All’interno dell’attività sul Social CRM che sto portando avanti con Open Knowledge, ho riflettuto molto sull’approccio proposto da Jacob e sono arrivato alla conclusione che mancano alcune parti rilevanti:
- Il processo è a senso unico: l’azienda ascolta quanto detto nei social media o quanto raccolto dall’interazione diretta con il cliente e si limita a rispondere. Non c’è nessuna azione che parte in modo proattivo dall’azienda. Ciò è invece esattamente quello che succede nelle iniziative più avanzate di Social CRM come lo sviluppo partecipato del prodotto.
- La risposta non è sociale: come i pionieri del Social CRM sanno molto bene, nel momento in cui si lancia una nuova community in realtà quello che si sta facendo è firmare un contratto implicito verso il proprio pubblico. Possiamo chiamarlo uno SLA (Service Level Agreement) o solamente un’insieme di aspettative, ma gli utenti si aspetteranno da voi risposte concrete, precise, tempestive, che tengano conto dei loro desiderata. Più che risposte si tratta di veri e propri flussi di cambiamento che pur nascendo da una sollecitazione in ambito di community, devono attraversare velocemente l’azienda coinvolgendo e cambiando processi, comportamenti, messaggi, strumenti. Altro che comunicazione.. qui il marketing o il community management non basta a dare le risposte!
- La risposta è orizzontale e multidisciplinare: con il Social CRM stiamo aprendo la porta alle richieste più disparate, dal supporto, all’innovazione, alle vendite, alla semplice comunicazione. Avete bisogno di figure dedicate in dipartimenti diversi, anzi spesso addirittura aldifuori dei dipartimenti
- Esistono diversi tipi di community: in molti casi definire una strategia di social media marketing all’interno degli spazi pubblici (Twitter, Facebook, Linkedin) non è sufficiente. Numerose aziende vogliono proporre un’esperienza unica al cliente lanciando piattaforme proprie le cui interazioni vengono rimbalzate sui social media, ma in cui l’ascolto avviene tramite soluzioni dedicate di analytics e social intelligence. Mentre è possibile tenere sotto controllo tutto quanto avviene negli ambienti controllati dall’azienda, i confini degli scambi sul brand nelle community pubbliche sono molto difficili da definire (per questo nel diagramma i bordi sono irregolari)
- Gli scambi sociali devono essere memorizzati: per poter comprendere realmente cosa il cliente sta chiedendo (magari implicitamente) e fornire risposte non solo coordinate, ma specialmente coerenti con quanto l’interlocutore si attende, è necessario connettere il profilo del cliente con le sue interazioni online, avvengano esse con l’azienda o con altri cliente su temi connessi al prodotto.
Il modellino qui sotto prova ad estendere il buon lavoro di Jacob affrontando questi aspetti:
Il messaggio che come potete immaginare più mi sta a cuore è il fatto che non si possa davvero fare Social CRM (ma anche buon social media marketing) senza riuscire a coinvolgere l’intera organizzazione, possibilmente prima di lanciarsi nei social media. Per far questo è necessaria l’Enterprise 2.0 ed una struttura che mappi le community esterne ad opportune interazioni interne (l’Enterprise 2.0) per recepire fluidamente e proficuamente le sollecitazioni che vengono dal mercato.
Partire dall’interno consente infine anche di aiutare i diversi silos a conoscersi, fidarsi l’uno dell’altro, acquisire la necessaria sensibilità ed iniziare a lavorare insieme senza per forza attendere che l’intera organizzazione evolva in modo compatibile con le esigenze delle community.
Cosa ne pensate? Cosa manca o migliorereste nel modello?
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