Segmenti o tribù?

Alcune settimane fa, nel suo post The Real CRM Side of Listening and Monitoring, il mio amico Andrea Incalza ha condiviso una riflessione molto interessante su come andare a collocare operativamente il monitoring all’interno dei tradizionali processi di CRM.

L’articolo merita assolutamente una lettura completa che vi invito a fare sul blog di Andrea, ma ai fini di questa discussione i passaggi salienti a mio avviso sono:

  • Segmentazione. Partire da una segmentazione dei clienti legata al loro valore per il business
  • Social Presence. Associare i profili degli utenti online ad uno dei segmenti preparando una dashboard che mostri il quando, il come ed il dove sia meglio interagire con ogni segmento online
  • Social Behavior. Incrociare profili e loro segmenti sui casi d’uso sociali (Social Marketing, Social Reputation, Social Support, Social Innovation) per comprendere il cosa ovvero l’interesse da parte dei profili di ogni segmento ad interagire nell’ottica di ognuno dei casi sociali

Se ho ben compreso, l’assunto di base per Andrea è che: se il Social CRM è un’estensione della strategia di CRM tradizionale, non si può partire dalle conversazioni, ma si deve partire dai clienti (ndr ovvero dalla segmentazione che l’azienda ne ha fatto).

Da un punto di vista di CRM logicamente questo assunto non sembra fare una piega. Tuttavia, almeno a mio avviso, una simile strategia, così come tutto ciò che ne consegue, non ha più alcuna efficacia nel mondo dei Social Media. Proviamo a vedere perchè, procedendo a ritroso a partire dal risultato finale.

In un’ottica di Social CRM, ciò che le aziende, almeno quelle più sveglie, sperano di ottenere dai social media è un’accelerazione ed un efficientamento dei processi customer facing di diffusione del brand, comprensione dei clienti, vendita, supporto ed innovazione.  Per scalare e capitalizzare questa accelerazione nel tempo è certamente imprescindibile un’integrazione del social all’interno dei meccanismi tradizionali di relazione con il cliente (il CRM, ma non solo). Dov’è allora la differenza?

Il fatto che le conversazioni debbano essere integrate ai processi, non deve in alcun modo lasciarci credere che il paradigma fondativo su cui la nuova relazione azienda-cliente possa basarsi siano ancora i costrutti base del CRM tradizionale: un approccio company centrico inside-out e l’utilizzo dei segmenti.

In The Hyper-Social Organization, uno dei 2/3 testi più profondi per quanto riguarda il Social Business, Francois Gossieaux avanza con forza alcuni veri e propri comandamenti del Social CRM. Ciò non avviene partendo dalla tecnologia 2.0, ma dall’evoluzione del cervello e dai comportamenti sociali acquisiti dagli esseri umani nelle ultime migliaia di anni.

Rifacendosi anche alla ricerca di Dan Ariely, Francois parte da alcune osservazioni fondamentali:

  • Gli esseri umani non sono utenti, nè consumatori. Ogni individuo ha una storia ed esigenze a sè. Ragionare unicamente in termini di un profilo archetipale astratto consente si di semplificare la complessità, ma distrugge la comprensione a 360° del ruolo che il prodotto / servizio gioca nella vita dell’individuo
  • Gli esseri umani rappresentano una specie inerentemente sociale (herding). Questo significa che le nostre decisioni non vengono quasi mai prese in modo isolato ma quasi sempre all’interno di un complesso contesto sociale alla ricerca di conferme, pareri esterni, maggiori informazioni
  • Gli esseri umani cercano istintivamente altri individui simili a loro. Secondo un principio di omofilia evidente in qualunque ambiente, i gruppi tendono a diventare omogenei nel tempo attraendo naturalmente altri individui affini.
  • Gli esseri umani si auto-influenzano (self-herding). Oltre a muoversi in gruppo (anche virtualmente), gli stessi individui tendono a riconfermare nel tempo le proprie decisioni come comportamento di default finché non sopraggiungono fattori esterni sufficientemente forti da metterle in discussione (es. un comportamento profondamente offensivo o ingiusto da parte dell’azienda)
  • Gli esseri umani vogliono reciprocità. Così come molti primati, le persone pretendono innatamente da chiunque, aziende comprese, un trattamento equo, rispettoso, alla pari e sono disposte a qualunque cosa (anche a rimetterci personalmente) per vedere questo bisogno soddisfatto.
  • Gli esseri umani moderni non si fidano delle aziende. Fino a pochi anni orsono, le aziende hanno sfruttato l’evidente asimmetria informativa e capacità di amplificazione per influenzare e pilotare i comportamenti di acquisto delle persone. Con l’arrivo dei social media questo monopolio è destinato a morire. Gli individui si fidano più dei loro pari che delle aziende.
  • Gli esseri umani non rappresentano alcun mercato, nel senso che concentrandosi unicamente sulle transazioni (o sulla conversione, o sull’acquisto del prodotto) si rischia di perdere di vista i comportamenti ed i bisogni che spingono le persone ad acquistare

La maggior parte dei responsabili Marketing e CRM hanno tradizionalmente utilizzato la segmentazione dei clienti come punto di partenza per la propria strategia. Purtroppo però, proprio in ragione dei comportamenti appena descritti, nell’era dei social media mercati e segmenti di clienti non consentono di predire in che modo le persone si connettono e tantomeno cosa decideranno di comprare.

In particolare:

  • Gli esseri umani si aggregano in tribù non in segmenti. I segmenti sono raggruppamenti fondati su tratti individuali di tipo geografico, demografico, psicografico. Al contrario le tribù si basano sul comportamento sociale e legano le persone non intorno ad un prodotto, servizio o brand, ma in base ad un problema, ad un bisogno, ad un senso di appartenenza, ad una passione comune
  • Azienda centrico vs Cliente Centrico. I segmenti sono un’implementazione chiara di un approccio inside-out, tutto centrato sull’azienda, sui sui prodotti e sui suoi obiettivi, per niente attento ai bisogni che muovono i gruppi di persone. In un contesto in cui l’asimmetria azienda-cliente si assottiglia e gli strumenti tecnologici consentono agli esseri umani di scalare le proprie tendenze di aggregazione ad un livello globale, l’azienda non può fare altro che prenderne atto e reagire in una direzione outside-in e cliente-centrica
  • Le tribù influenzano decisioni ed acquisti, non i segmenti. Questa rivoluzione customer-centrica è paradossalmente finalizzata ad un solo chiarissimo obiettivo: il business. Identificare (listening) le tribù ed interagire (engagement) con loro, significa costruire una relazione paritetica (reciprocità) con i veri influencer ed avere accesso alle più efficaci leve per spostare i comportamenti del proprio ecosistema. Dentro una tribù le persone si riconoscono, sono disposte ad aiutarsi l’una con l’altra, si fidano.
  • Non esistono community centrate sul brand. Esistono solo community centrate sulle persone. Centrare una community sulle persone significa innanzitutto comprenderne i loro bisogni e comportamenti a 360° anche quando questi esulano dallo scope del prodotto o dei servizi forniti dall’azienda. Significa anche accettare una volta per tutte che non è il prodotto a fare la differenza, ma il ruolo che esso gioca nella vita degli individui. Questo passaggio è spesso uno degli effetti collaterali più importanti del percorso di costruzione di una community che funziona. Progetti come quelli di Mini Cooper, Harley Owners’s Group, Fiskateers, la nostra Lumix Lifestyle sono la dimostrazione dello spostamento di baricentro tra prodotto e bisogno.
  • Le tribù possono essere identificate agevolmente sul web, non i segmenti. Individuare gli utenti donna, di 35 anni, che vivono a Roma in un CRM è banale, ma nei social media molto meno e forse neanche necessario. Questa pretesa è con ogni probabilità alla base di molte delle difficoltà che si riscontrano oggi nel connettere Social e CRM. Non è il Social a dover essere incanalato nel CRM, ma il CRM o meglio la visione dell’azienda del mondo esterno che deve essere riorganizzata in base ai nuovi comportamenti dei consumatori. Ogni tribù avrà per esempio aspettative, canali, modalità di interazioni diverse. Pensate invece di trovare una modalità funzionale per tutti gli uomini oltre i 40 anni con uno stipendio elevato?
  • Il Marketing 1-to-1 è morto. Il servizio 1-to-1 è una bomba. Segmentare gli utenti, anche nei social media, dovrebbe consentire di recuperare un contatto individuale (es. la mail) con loro che consenta all’azienda di continuare a bombardarli massivamente secondo un modello 1 a molti (broadcasting) o nei casi migliori individuale. Purtroppo non è quanto gli esseri umani vogliono: quando parliamo con un call center che ci propone l’ultima offerta per cambiare operatore, la prima reazione è molto spesso prendere tempo, farci mandare l’offerta (infatti non lo fanno quasi mai..) e valutarla chiedendo a parenti, amici, conoscenti se loro hanno già esperienza con quel provider o se hanno visto prezzi migliori. Gli esseri umani usano le community o tribù per guadagnare potere rispetto alle aziende. Non vogliono ricevere l’hard sell in modo individuale, mentre al contrario vogliono essere serviti in modo personalizzato da un’azienda che ricorda l’intera storia di interazione, i canali preferiti, i prodotti acquistati, le preferenze senza doverle rispiegare ogni volta da capo.

Conclusioni

Il modello proposto nel suo articolo da Andrea Incalza potrebbe con ogni probabilità descrivere con accuratezza un atteggiamento customer centrico, se al concetto di segmento si andasse a sostituire quello di tribù. Certo le implicazioni su quanto già immagazzinato nei record del CRM non sarebbero banali.

Tentare di connettere le conversazioni online al business ha rappresentato il trend più forte del 2011 e certamente continuerà ad esserlo nel 2012, non solo per il Customer Relationship Management, ma anche con l’R&D, le PR, le Vendite, il Marketing, la Customer Research.

Connettere non significa però appiattare la ricchezza sociale che gli esseri umani hanno costruito in alcune decine di migliaia di anni, sul comprensibile bisogno di semplificazione a cui le aziende si sono rassegnate nell’ultimo secolo.

Per trarre realmente vantaggio dall’enorme capitale sociale oggi disponibile online, l’azienda deve cambiare testa iniziando dal modo in cui vede e tratta il proprio pubblico. Ragionare in termini di tribù e non di segmenti ci porta più vicino a capire i bisogni delle persone all’interno del contesto naturale in cui questi si presentano e vengono risolti oltre a mettere in condizione l’azienda di trarre vantaggio da simili dinamiche divenendo un membro delle community più influenti, fornendo un valore distintivo a queste community, ottenendo la fiducia dei loro membri e solo alla fine vendendo più prodotti o migliorando i prodotti esistenti.

Senza rovesciare la prospettiva, si rischia di costruire modelli super strutturati che tuttavia non tengono conto degli stessi meccanismi di funzionamento delle community di esseri umani, a prescindere dai social media.

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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