Il Nirvana del Social Support

L’organizzazione non è più la stessa.

Che l’adozione pervasiva dei social media da parte di qualsiasi utilizzatore della rete stia spingendo verso un profondo ripensamento dei processi organizzativi e delle pratiche per relazionarsi con il mercato non è certo cosa nuova. I seguenti post ne sono esempi puntuali:

Nei prossimi anni, l’introduzione di scambi informali, destrutturati, partecipati, spontanei continuerà a rivoluzionare qualunque processo dentro o attraverso i confini dell’impresa. Ciononostante, nel 2012 si inizia ad intravvedere distintamente un nuovo bisogno: la scalabilità.

Raccogliendo i feedback di vendor, clienti ed altri operatori, si comprende in fretta come, dopo aver investito per 1-2 anni nella sperimentazione di approcci mirati e basati sulle community e sul social, le aziende più grandi e mature vogliano ora fare il salto, riconnettendo simili iniziative al centro nevralgico dell’organizzazione e sfruttandole strategicamente per generare ritorni di business.

Nel 2012 il nuovo segnale è quindi la necessità imprescindibile di rendere la socializzazione dei processi organizzativi employee-facing e customer-facing più robusta, scalabile, sostenibile, consistente, integrata e misurabile come mostra ad esempio un diagramma dell’ultimo report di Altimeter:

Oltre a priorizzare i progetti di socializzazione dei processi in base a chiari obiettivi di business, all’interno di un framework tecnologico- organizzativo unico e strategico, definendo con attenzione l’allineamento e la contaminazione tra flussi finora scorrelati, la verità è che ogni ambito ha proprie peculiarità, un proprio ecosistema di soluzioni abilitanti, uno specifico livello di prontezza.

Se allora volessimo dare indicazioni mirate per far crescere e rendere più maturo, integrato e scalabile il dominio del Social Support, quale dovrebbe essere il percorso? Ripartendo da un post di qualche settimana fa, provo ad aggiungere schematicamente alcune suggestioni che stanno trovando sempre più riscontro a livello internazionale (cliccare per ingrandire):

Anche se non tutte le aziende seguiranno con esattezza gli stessi passi, nella mia esperienza il percorso di raffinamento e sviluppo di un supporto al cliente più vicino alle persone ed al contempo più sostenibile per l’azienda prevede in molti casi le seguenti fasi:

  1. Customer Service & Support Tradizionale: è il primo tentativo, ormai completamente implementato in molte aziende, di accentrare le attività di contatto e gestione dell’interazione con il cliente. In questa fase il Customer Care è principalmente visto come centro di costo. L’obiettivo è quindi abbassare il più possibile i costi per l’azienda, velocizzare gli scambi, ridurre il numero di chiamate, spostare verso canali più efficienti le richieste. I canali comprendono il telefono, la mail, gli IVR, il web in modalità self-service (es. FAQ, siti informativi, portali di contenuti tecnici), la chat con gli operatori, etc
  2. Collaborazione dei Customer Service Representatives: per affiancare obiettivi di contenimento dei costi ad una più forte attenzione sulla soddisfazione del cliente, il passo successivo consiste nel creare un supporto interno al lavoro degli operatori raccogliendo e mettendo a fattore comune richieste dei clienti e risposte dei CSR, preparando feedback certificati dall’azienda, informando tempestivamente ed esaustivamente gli operatori di front-end su nuove offerte, caratteristiche tecniche, difettosità, crisi in corso, messaggi da fornire in ottica di up-selling, etc. Per fare tutto questo, da una parte l’azienda predispone una knowledge base popolata in molti casi in modalità top-down e con un forte controllo centralizzato, dall’altra inizia ad abilitare ambienti collaborativi in cui sono gli operatori dal basso e tra di loro a porsi domande, a condividere best practice, a sollevare bisogni del mercato ancora non identificati dal business.
  3. Social Care: tante, tantissime aziende stanno poi seguendo i propri clienti o prospect nei canali in cui questi si incontrano, si connettono e si scambiano commenti sui brand a cui sono più interessati. Per andare incontro alle aspettative di questo nuovo social customer, oltre che per estrarre intelligenza da conversazioni online che non coinvolgono direttamente il brand, vengono così lanciate iniziative di Twitter e Facebook Care che umanizzano l’organizzazione, danno al cliente la sensazione di un servizio  individuale, spesso compensando inefficienze riscontrate sugli altri canali.
  4. Community Peer-to-Peer di Clienti: indipendentemente da (a volte perfino in contrasto con) quanto le aziende facciano tramite i canali di cui hanno il controllo, gli utenti si aggregano spontaneamente in community di auto-aiuto finalizzate a trovare pareri disinteressati, soluzioni tecniche, condividere una passione, trovare conforto dopo esperienze non piacevoli con il brand. Alcune aziende hanno colto in fretta l’enorme opportunità ponendosi come abilitatori e facilitatori di questi spazi, osservando da vicino i temi più caldi, correggendo con i fatti i messaggi più fuori bersaglio, ma lasciando che i clienti parlino liberamente con altri clienti e di fatto spostando il servizio fuori dall’organizzazione. Che sia un forum dedicato, GetSatisfaction, una community in Ning o Facebook, quasi sempre si tratta di un ottimo modo non solo per abbassare i costi di servizio tramite il crowdsourcing, ma soprattutto per ingaggiare i propri clienti nel passaparola e nel miglioramento del prodotto / servizio.
  5. Enterprise-wide Social Support:  avere community interne di operatori ed esterne di clienti non è ancora sufficiente a raggiungere il nirvana del Social Support. Casi come il Twelpforce di BestBuy (ma anche come Zappos, seppur ad un livello più alto) rimarcano ancora una volta che il supporto non dovrebbe essere inteso come una funzione distaccata, quasi secondaria e periferica, rispetto alla comunicazione, al prodotto, alla stessa strategia dell’impresa. Aldilà del lavoro esplicito degli operatori, è l’intera organizzazione che tramite i social media molto spesso per la prima volta viene esposta al cliente, alle sue critiche, ai suoi bisogni, ai suoi suggerimenti. E’ con questo ultimo step che si va verso la customer-centricity e verso la massima scalabilità del servizio in termini di mole di messaggi, canali, orari (ad esempio chi risponde nel weekend?).

Quali sono le sfide / opportunità maggiori che incontreremo lungo ognuno di questi step?

  1. Customer Service & Support Tradizionale: è proprio a causa delle limitazioni in termini di scalabilità, esaustività, tempestività del supporto tradizionale che si stanno aprendo le porte agli approcci partecipati seguenti. Qui la sfida è “semplicemente” aprire la mente e comprendere come l’azienda sia ormai costretta a porsi più in un ruolo di facilitazione che di controllo totale delle interazioni tra utenti / clienti.
  2. Collaborazione dei Customer Service Representatives: La collaborazione tra CSR è in realtà solamente il punto di ingresso per un flusso strutturato di triage, escalation, feedback tempestivo che coinvolge l’interno dell’organizzazione per la raccolta e per l’approvazione tempestiva delle risposte più complesse. E’ in questa direzione che molti dei progetti attuali di customer service possono migliorare grazie ad un raccordo più forte con chi lavora sul prodotto, sui servizi, sul marketing, sulle vendite, sulle PR. L’operatore, pur mettendoci la faccia, molto spesso non è incentivato, non è messo tecnicamente in condizione, non è abilitato organizzativamente a ricostruire una visione completa a 360° gradi del cliente tuttavia necessaria a risolvere i problemi e ad informare puntualmente.
  3. Social Care: nella maggior parte dei casi che conosco, il care tramite social media rimane in larga misura disconnesso dal Customer Service tradizionale, dal CRM e dal resto dei processi interni. Le aziende più avvedute stanno invece iniziando a formare le proprie persone e ad abilitare nuovi flussi tra i sistemi che integrino organicamente il social all’interno delle attività in essere, mappando identità sociali e record transazionali, memorizzando le conversazioni tra clienti all’interno del CRM, coinvolgendo nelle iniziative gli stessi operatori che finora lavoravano dietro alle quinte, accentrando la gestione di tutti canali 2.0 indipendentemente dalla regione geografica, dalla funzione organizzativa, dalla piattaforma utilizzata. Il bisogno di integrazione e razionalizzazione espresso al punto precedente è ancora più urgente in tema di Social Care.
  4. Community Peer-to-Peer di Clienti: lanciare o individuare una community esterna è relativamente semplice. Connetterla con l’organizzazione senza cercare di togliere l’aria è molto più difficile. Per mettere in campo questo step si ha bisogno di capacità di monitoring, community management, apertura, integrazione con i processi (ancora, ma qui per un qualcosa che l’azienda non controlla direttamente) non indifferenti, ma soprattutto l’umiltà di considere i clienti al pari dei dipendenti, le loro idee valide tanto quanto quelle dei propri manager. Fuori dai 140 caratteri di Twitter brandizzati dall’azienda, le possibilità  ed i bisogni di condivisione sono praticamente infiniti e gli utenti molto più propensi a metterci del proprio.
  5. Enterprise-wide Social Support: chiariamo subito che la maggior parte delle aziende non arriveranno mai e con ogni probabilità non cercheranno mai di raggiungere questa fase. Non per tutti il supporto al cliente costituisce una funzione strategica. In pochissime realtà esiste la prontezza culturale, nel management ed a tutti gli altri livelli, per abbracciare la causa del cliente, garantirgli un’esperienza che superi le aspettative, innovare insieme. Coloro che si stanno orientando in questa direzione hanno di fronte un percorso di sensibilizzazione, formazione, abilitazione, misurazione imponente, ma anche un potenziale vantaggio strategico rispetto ai propri competitor ed una differenziazione non più legata al solo prezzo.

Manca però ancora l’arma finale, la più difficile, la più lontana, la più promettente: la creazione di senso a partire dalle conversazioni.

Ciò che non ricade all’interno di nessuno degli step, ma che forse costituisce un’opportunità ancora più trasformazionale e profonda è la business intelligence che ad ogni passo dovrebbe essere dispiegata. Cosa significa? Significa non fermarsi a leggere manualmente le conversazioni, ma far emergere complessivamente il senso di ogni scambio tra operatori, di ogni interazione tra utente dovunque avvenga, di ogni idea sul servizio proposta da tutti i dipendenti. Chiamatelo analytics sui big data, chiamatelo Social Business Intelligence, ma sono sempre più convinto che rispondere privatamente alle singole richieste che piovono su Twitter sia ormai scontato e non aggiunga abbastanza nè all’esperienza del cliente, nè al valore generato per l’azienda.

Il nirvana del Social Support è costruire un’organizzazione che capti, apprenda e migliori costantemente intorno a tutti gli esseri umani che ne compongono l’ecosistema: stakeholder, clienti, dipendenti, partner.

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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